Michela mi ha detto che questo testo è lungo.
Mi ha detto “metti il tuo percorso fotografico”.
Solo che quello era una riga sola, e anche striminzita, ovvero
Ho fatto fotografie
Francesco Merenda
La fotografia è un’inseparabile compagna, da oltre 35 anni.
Ne avevo circa diciotto quando comprai, rigorosamente usata, una reflex Canon con 50mm: se ben ricordo la presi per centomila lire. Assolutamente in contanti!
E così, poco dopo, un ingranditore Meopta: se la memoria tiene… non esattamente un campione.
Da allora, in fondo, per me la fotografia è sempre stata la stessa cosa: un taccuino, un quaderno di appunti. Col tentativo di registrare secondo una visione mia, lo scorrere semplice (o infinitamente complesso) del mondo intorno.
Banale, ma tant’è…
Spesso ci si domanda “perché”, qual è il motivo per cui fotografiamo. Il mio è in fondo molto semplice e ben poco artistico: curiosità.
La natura umana, bizzarra oltre ogni limite nella sua normalità, mi ha sempre attratto sopra ogni cosa. E quindi fotografare è sempre stato il mio modo di tentare (senza possibilità di riuscita) di saziare questa strana sete.
Oggi la fotografia è incredibilmente celebrata e pensata in modo “alto” a tutti i livelli.
Personalmente mai mi sono posto il problema di fare arte o cose simili. E anche il totem del “ricercare”, dello “sperimentare” (che certamente agli inizi non si è fatto mancare…) ho capito presto che non era la mia via.
Un altro totem di questi tempi, nei social ma anche nei salotti buoni, è il “progetto”.
A questo proposito, suggerisco la lettura di “Il cretino cognitivo”, davvero illuminante su come riusciamo a creare senso dove senso non c’è!
Ecco: anche l’adorato progetto, per come viene normalmente inteso, mi ha sempre emozionato poco o nulla.
L’errore, classico e abituale, sta nel fatto che si contrappone la fotografia progettata a quella “fatta a casaccio”. E’ ovvio che, detta così, come potremmo avere dubbi sulla scelta?
Solo che così non è.
Io ho sempre trovato necessario un unico e solo progetto: ovvero quello dell’Umano Fotografante.
Quel qualcosa che giorno dopo giorno, anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, può condurre a qualche forma di evoluzione interiore. Dove probabilmente la fotografia è solo accidentale. Solo un alibi.
E quindi niente “progetti”, ma tentativo di arrivare a una dimensione estetica non originale, ma propria.
Il problema è però forse uno: tutto questo richiede tempo. Richiede una vita intera. E noi abbiamo troppa fretta.
Comunque resta il fatto che il risultato, semmai poteva arrivare… non è arrivato, ancora.
E così restano fotografia e atto del fotografare, come compagni di un viaggio senza ansie, in cui la tappa decisiva non può essere altro se non la prossima.
La fotografia è un’inseparabile compagna, da oltre 35 anni.
Ne avevo circa diciotto quando comprai, rigorosamente usata, una reflex Canon con 50mm: se ben ricordo la presi per centomila lire. Assolutamente in contanti.
E così, poco dopo, un ingranditore Meopta. A memoria… non proprio un campione!
Da allora, in fondo, per me la fotografia è sempre stata la stessa cosa: un taccuino, un quaderno di appunti. Col tentativo di registrare secondo una visione mia, lo scorrere del mondo intorno.
Spesso ci si domanda “perché”, qual è il motivo per cui fotografiamo. Il mio è in fondo molto semplice e ben poco artistico: curiosità.
La natura umana, bizzarra oltre ogni limite nella sua normalità, mi ha sempre attratto sopra ogni cosa. E quindi fotografare è sempre stato il mio modo di tentare (senza possibilità di riuscita) di saziare questa strana sete.
Oggi la fotografia è incredibilmente celebrata e pensata in modo “alto”.
Personalmente mai mi è passato per la mente di fare arte o cose simili. E anche il totem del “ricercare”, dello “sperimentare” (che certamente agli inizi non si è fatto mancare…) ho capito presto che non era la mia via.
Un altro totem di questi tempi, nei social ma anche nei salotti buoni, è il “progetto”.
A questo proposito, suggerisco la lettura di “Il cretino cognitivo”, davvero illuminante su come riusciamo a creare senso dove senso non c’è!
Ecco: anche l’adorato progetto, per come viene normalmente inteso, mi ha sempre interessato poco o nulla.
L’errore che spesso sento è questo: si contrappone la fotografia progettata a quella “fatta a casaccio”. E’ ovvio che, detta così, come potremmo avere dubbi sulla scelta?
Solo che così non è.
Io ho sempre trovato necessario un unico e solo progetto: ovvero quello dell’Umano Fotografante.
Quel qualcosa che giorno dopo giorno, anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, può condurre a qualche forma di evoluzione interiore.
E quindi niente “progetti”, ma tentativo di arrivare a una dimensione estetica non originale, ma propria.
Il problema è però forse uno: tutto questo richiede tempo. Richiede una vita intera. E noi abbiamo troppa fretta.
Comunque resta il fatto che il risultato, semmai poteva arrivare… non è arrivato ancora!
E così restano fotografia e atto del fotografare, come compagni di un viaggio senza ansie, in cui la tappa decisiva non può essere altro, se non la prossima.