Le vite degli altri
Ancora una pagina, dedicata a uno scorcio del secolo folle della passione, dell’amore, della morte.
Dopo quella dedicata a Nowa Huta, ancora una volta a est. Nell’utopia. Nella follia. In un dolore grigio.
Nowa Huta, quartiere-città di Cracovia, regalo di Stalin al regime Polacco, racconta il ruolo dell’architetto nella costruzione delle coscienze. Ma il ruolo che forse più ci è familiare e noto di quella storia, è quello del controllore, della spia, di una figura (spesso più un funzionario che un gendarme) che vede, ascolta, incute terrore. Un terrore grigio.
Se la fama del KGB lo rende piuttosto familiare al nostro immaginario, così non è per la STASI (Il Ministerium für Staatssicherheit, Ministero della Sicurezza di Stato), la terribile e opaca, spregiudicata e banalmente ordinaria istituzione della Germania Est. La sua polizia segreta.
Il cui compito era fondamentalmente quello di monitorare i comportamenti politicamente scorretti nel paese. E poi colpirli, annullare l’esistenza delle vittime, trasformarle spesso in informatori senza possibilità di scelta. Pezzi del sistema su pezzi del sistema.
Si stima che tra dipendenti e informatori, la STASI sia stata una delle macchine più presenti e oppressive al mondo, con una valutazione che calcola la presenza di 1 spia per ogni 59 abitanti…
Della STASI non si parla molto: non ha il fascino nero del KGB, sono i servizi segreti di un paese satellite in fondo, è opaca nella sua natura e nelle sue azioni.
Recentemente solo un film mi pare, “Le vite degli altri” appunto, ce ne ha raccontato un pezzetto.
Pezzetto che, soprattutto attraverso le rappresentazioni collaterali alla vicenda principale, riesce forse a descrivere un clima, un mondo, un modo di vivere la vita cupo, vuoto, senza speranza.
Una follia ancor più assurdamente inconcepibile, perché nata in nome del più alto degli ideali. Che insieme alle follie sue “consorelle” ha finito per essere l’espressione più evidente di un pezzo di mondo. Nel secolo delle passioni e degli orrori.
Oggi, a Berlino, la curiosità e il mercato generati dal Muro che fu, sono ancora ben vivi. Dopo decenni, il Checkpoint Charly non cessa di essere un luogo di interesse turistico, e il vicino Museo del Muro continua a registrare successo e attenzioni.
Tuttavia è “un’altra storia”. La STASI, che tanto era presente nella vita ordinaria di tutti, a est, non la vedi, non la senti. Non c’è.
Probabilmente proprio per quella sua natura grigia, fatta di funzionari grigi. Per la sua perfetta espressione di quanto suggerito dalla Arendt nel suo “La banalità del male”.
Ma qualcosa resta. Oltre al Museo (ex-sede del Ministero della Sicurezza di Stato della DDR, oggi STASIMUSEUM), è possibile visitare il Gedenkstätte Berlin-Hohenschönhausen.
Memoriale oggi ed ex luogo di detenzione in passato (prima sovetico, poi ceduto alla DDR), le cui visite guidate sono spesso condotte da ex detenuti sopravvissuti. E a cui sono dedicate le immagini di questo articolo.
Luogo controverso, per il quale si sono scontrati a lungo bisogno di denuncia e volontà di silenzio, su un passato rimasto a lungo nell’aria e nelle vite di tutti, là.
E che forse, per quanto ancora è possibile, con le sue celle, con le stanze grigie e scrostate in cui avvenivano gli interrogatori, può restituire qualcosa dell’idea di una follia. Grigia.
Francesco Merenda
Valentina
Brividi freddi lungo la schiena, mani gelide madide di quel sudore che solo la tensione ed il terrore psicologico inducono al corpo.
La percezione di qualcosa di tragico, irresolubile, inesorabilmente subito.
Un dolore fisico e mentale che solo quando viene subito e generato dalla stessa mente umana, può imprimersi così a fondo.
Eppure quelle stanze non avevano bocchette di erogazione di gas, non avevano attrezzi di tortura fisica, non erano oltremodo anguste e così surreali… eppure hanno in sé qualcosa di tremendamente violento.
Condurre la volontà dell’altrui anima a scendere a patti con il diavolo per entrare poi in un vorticoso e macabro sistema senza uscita se non quello della pazzia pura.
Che poi tu credi che la morte sia la massima sofferenza quando nulla di peggio esiste al mondo della non possibilità di sentirsi liberi.
Usare le vite delle persone per poter controllare e manipolare un sistema resta uno degli scenari più macabri della storia dell’umanità.
Che poi, cambiando relativamente i modi, non è che l’attuale sistema non sia stato creato con meno crudele intenzionalità.
Desiste la volontà di scioccare e torturare ma le finalità di controllo e supremazia da parte dell’uomo sull’uomo restano alcuni dei mali da combattere per le nuovissime generazioni.
Splendido lavoro Fra, di quelli che tu hai il potere e la capacità di illustrare e raccontare in modo speciale.
Con enorme stima.
Marco Romualdi
Chapeau!
Per le immagini.
Per l’articolo.
Per la tonalità “grigia” che è una scelta ben precisa, concettuale oltre che colta.